Infanzia e Adolescenza

INFANZIA E ADOLESCENZA

La nostra équipe di specialisti dell’età evolutiva ha tra i suoi obiettivi la prevenzione, la diagnosi precoce, la terapia e la riabilitazione cognitiva di bambini ed adolescenti. Per progettare un intervento psicologico specifico per l’età evolutiva è necessario un percorso di assessment psicodiagnostico che prevede:

• Primi colloqui con entrambi i genitori in cui viene approfondita la problematica attuale. Vengono raccolte informazioni generali sulla sua storia di sviluppo e sulle sue relazioni familiari, le motivazioni per le quali è stato contattato il professionista e la reale necessità di un percorso di psicoterapia.

• Compilazione di interviste e questionari, sia per i genitori sia per i bambini ed eventualmente per i loro insegnanti.

• Se necessario, seguono alcuni incontri di valutazione con il bambino, in cui vengono approfonditi gli aspetti cognitivi, neuropsicologici, emotivi, comportamentali e relazionali.

• I risultati della valutazione vengono condivisi con i genitori in un colloquio finale teso a fornire una chiave di lettura delle difficoltà del figlio e ad impostare un percorso finalizzato al miglioramento della situazione.

Gli interventi in età evolutiva comprendono:

Psicoterapia dell’età evolutiva

La psicoterapia con i bambini e adolescenti: cos'è e come funziona?
La psicoterapia dell’età evolutiva si avvale di una varietà di tecniche e metodi che possono essere utilizzati per aiutare i bambini e adolescenti che esprimono un disagio sia a livello comportamentale che emotivo. Si tratta di un approccio di ascolto e di accompagnamento e non riguarda quasi mai solo il bambino/ragazzo: essa coinvolge la famiglia e coloro che hanno un ruolo influente nella sua vita. Attraverso un percorso di psicoterapia è possibile aiutare il bambino/ragazzo e la famiglia a trovare la giusta chiave per affrontare ciò viene considerato il problema; tenendo in considerazione la sua storia familiare, il suo sviluppo e le relazioni significative all'interno dei suoi contesti di appartenenza. Tramite la psicoterapia il bambino/ragazzo e la sua famiglia imparano a riconoscere le proprie emozioni, con la possibilità di trovare nuovi modi di comunicare, individuando nuove possibili soluzioni.


Strumenti utilizzati nella psicoterapia con i bambini/ragazzi.
Per favorire il processo di valutazione, nelle fasi iniziali ci si potrà avvalere di specifiche tecniche di osservazione e test da somministrare al bambino/ragazzo, per definire gli obiettivi e le migliori strategie di intervento.

All’interno del lavoro psicoterapico si utilizzeranno strumenti adeguati all’età, quali: il gioco, il disegno, il colloquio e schede specifiche. Un altro importante strumento è quello dell'attività grafica: matite e colori permetteranno al bambino di utilizzare un linguaggio familiare, attraverso il quale i contenuti emotivi emergeranno con maggiore facilità.

In quali situazioni può essere utile un percorso di psicoterapia con il bambino/ragazzo? L'infanzia rappresenta una delicata fase della vita che può essere caratterizzata da diversi tipi di difficoltà. Queste potrebbero essere connesse ad un periodo di particolare stress legato ai “passaggi”: (dall’asilo alle elementari o dalle elementari alle medie, cambiamenti di scuola, passaggi all’età adolescenziale), oppure legati a un malessere causato da eventi traumatici: l'allontanamento di un adulto di riferimento o un lutto. Possono presentarsi inoltre, problematiche relazionali: (isolamento, comportamenti atipici, bullismo, iperattività, difficoltà scolastiche, ansie (legate alla scuola, allo sport, alle relazioni), piccole-grandi paure (del buio, dell'abbandono, della scuola), rabbia e aggressività.

In alcuni casi, seppur non si presentano specifiche situazioni che conducano ad un percorso di psicoterapia, consultare un professionista può aiutare i genitori a decodificare i segnali di un possibile malessere manifestato dal bambino. Contestualizzarlo e comprenderlo può essere d’aiuto.

Come comunicare al bambino/ragazzo l'incontro con lo psicoterapeuta? Molti genitori esprimono questo timore. Tuttavia va ricordato che, se il bambino/ragazzo manifesta un malessere e il genitore se ne accorge e chiede un aiuto, avrà un effetto positivo in quanto quest’ultimo si sentirà compreso e ascoltato.

Riporre fiducia da parte degli adulti di riferimento nella figura del professionista, permetterà al bambino/ragazzo di vivere l'incontro con lo psicoterapeuta senza particolari paure. A questo proposito il colloquio iniziale fra psicoterapeuta e genitori, può essere un utile momento per trovare insieme le modalità migliori per comunicare al proprio figlio il successivo incontro con lo psicologo.

Psicologia Perinatale

Lo psicologo perinatale si occupa della prevenzione, sostegno, orientamento, diagnosi e intervento per le famiglie durante il periodo compreso tra il pre concepimento e il quarto anno di vita del bambino; includendo quindi gravidanza, parto, nascita, allattamento e primi anni di vita. In questo arco di tempo lo psicologo perinatale si occupa dei fenomeni e dei processi evolutivi dei neonati e bambini e del sistema di relazioni intorno a loro. Il focus del suo intervento è sulla prevenzione, sul rispetto di bisogno del contatto dei bambini, sulla fisiologia del sonno e sull’alimentazione infantile, lavorando in collaborazione e in sinergia con altri professionisti, per la salute ed il benessere di madri, padri, bambini e operatori.


Negli aspetti di fisiologia perinatale rientrano tutti quei fenomeni che sono presenti nei processi di sviluppo fisici e mentali di ogni individuo fin dal concepimento, quali ad esempio:

• la conoscenza della fisiologia del sonno del bebè e della famiglia;
• l'alimentazione (allattamento al seno, alimentazione artificiale, introduzione dei cibi solidi);
• la fisiologia dello sviluppo del legame di attaccamento alle figure di accudimento;
• la fisiologia delle emozioni nel periodo che va dal preconcepimento al quarto anno;
• l’elaborazione di eventuali situazioni stressanti e traumatiche.

Lo psicologo perinatale si occupa anche di tutto ciò che accade quando qualcosa interferisce con la fisiologia, determinando situazioni di sofferenza che vanno dal semplice disagio fino alle condizioni di fisiopatologia e psicopatologia più importanti.

In questo senso, lo psicologo perinatale può essere una figura di riferimento e sostegno importante in molti ambiti, come ad esempio:

• facilitazione nella comunicazione fra famiglie e figure professionali di riferimento (pediatra, ginecologo, personale del reparto di ostetricia o neonatologia) durante il parto e nel puerperio;
• consulenza e mediazione in caso di contenziosi legali, ad esempio separazioni, che coinvolgano figli nei primi anni di vita; • percorsi di accompagnamento alla nascita;
• sostegno ai genitori riguardo a problematiche legate al sonno, alla relazione alimentare, al pianto e in generale alle modalità di comunicazione con il bambino maltrattamenti, abusi, incuria;
• infertilità e procreazione medicalmente assistita (PMA);
• inserimento al nido e ripresa lavorativa dei genitori.

Valutazione DSA e BES

Cosa sono i disturbi specifici dell’apprendimento (DSA)?

I disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) fanno parte della più ampia gamma dei disordini evolutivi che possono manifestarsi nell’acquisizione delle abilità linguistiche, negli apprendimenti e nelle funzioni cognitive. I bambini presentano significative difficoltà nella lettura (dislessia), nella scrittura (disgrafia e disortografia) e nel calcolo (discalculia). Questi disturbi, sono chiamati specifici proprio perché interessano aspetti circoscritti del funzionamento cognitivo, lasciando intatto il funzionamento generale (i bambini infatti presentano una intelligenza nella norma).


Fino a qualche anno fa le diagnosi di DSA erano piuttosto rare, in quanto gli insegnanti non avevano una formazione adeguata rispetto al problema e spesso consideravano questi bambini solo come studenti "svogliati". Con la pubblicazione della Legge 170 del 8/10/2010 e decreti applicativi (DM 12/07/2011), si è fatta chiarezza sul problema e sono state rese note le misure compensative e dispensative utili a favorire l’apprendimento di questi bambini. Attualmente, i DSA rappresentano uno dei disturbi più frequentemente inviati ai servizi dal territorio (circa il 10-15% dei soggetti in età scolare) anche a causa della loro comorbidità con disagi nella sfera emotiva o comportamentale. Questi bambini, infatti, si presentano spesso demoralizzati rispetto alla scuola, con bassi livelli di autostima, una errata percezione di sé e con comportamenti impulsivi in risposta alle frustrazioni subite.

Cosa sono i BES?
L’espressione Bisogni Educativi Speciali (BES) fa riferimento all’emanazione della Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 ed è l’acronimo che indica i Bisogni Educativi Speciali, cioè quelle particolari esigenze educative tipiche di alcuni alunni che hanno bisogno di un supporto adeguato e personalizzato rispetto alle loro condizioni fisiche, biologiche, fisiologiche, psicologiche e sociali.

Nei BES rientrano tre grandi categorie di alunni:

• i ragazzi con disabilità motoria o cognitiva (tutelati dalla Legge n. 104 del 1992);
• disturbi evolutivi specifici (tutelati dalla Legge 170 del 2010, che includono i Disturbi Specifici dell’Apprendimento, il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività ADHD, il borderline cognitivo;
• gli alunni che risentono di svantaggi di tipo socioeconomico, linguistico o culturale come la non conoscenza della lingua e della cultura italiana.

Inoltre, fanno parte dei BES anche i disturbi dell’apprendimento non specifici (esempio: quelli dovuti a sordità, epilessia, sindrome di Down, ipotiroidismo, …), i disturbi dell’umore e i disturbi d’ansia.

La novità più importante dell'introduzione dei Bes nella scuola italiana è l'ampliamento del campo di applicazione di una didattica personalizzata e inclusiva. In altri termini, il diritto a un Piano Didattico Personalizzato (PDP), ovvero a una personalizzazione del processo d'apprendimento, viene esteso anche agli studenti con Bisogni Educativi Speciali, che in precedenza era prevista solamente per gli alunni con DSA (Disturbo Specifico dell'Apprendimento).

La valutazione diagnostica per DSA e BES
Quando un insegnante o un genitore individua la presenza di una difficoltà nel bambino o ragazzo durante l’esecuzione dei compiti scolastici, oppure dei segnali che fanno supporre ad una fatica nella lettura, scrittura e/o calcolo, è importante richiedere una procedura di valutazione diagnostica. La valutazione DSA o BES viene effettuata da un’equipe multidisciplinare composta da psicologo e logopedista. Questa valutazione implica una serie di fasi, per comprendere la difficoltà del bambino e per strutturare un piano di intervento efficace:

primo colloquio con la coppia genitoriale nel quale vengono raccolte una serie di informazioni sul bambino, il suo sviluppo cognitivo, motorio, linguistico ed emotivo;
valutazione intellettiva;
valutazione degli apprendimenti: lettura, scrittura e calcolo;
approfondimenti neuropsicologici: memoria, attenzione, linguaggio, ecc.;
colloquio di restituzione e con consegna della relazione.

La valutazione diagnostica per DSA e BES permette di comprendere le difficoltà del bambino, evitando di incorrere in errori di valutazione (ad esempio: “non riesce perché è svogliato”, “appena vede un compito lungo non vuole farlo”) che hanno un impatto sul suo senso di autoefficacia.

Difficoltà scolastiche

Le difficoltà scolastiche rappresentano uno dei più frequenti motivi di disagio in età evolutiva e non sottintendono necessariamente un disturbo specifico d’apprendimento. Gli insegnanti generalmente osservano nei propri alunni un certo grado di irrequietezza, lentezza nell’apprendere, insofferenza verso la scuola e risultati scadenti rispetto alle proprie capacità. Allo stesso tempo, è frequente che i genitori si sentano ripetere che il loro figlio: "Non si impegna abbastanza, e potrebbe dare di più". Per riuscire a rispondere a questi interrogativi è fondamentale tenere a mente che le difficoltà scolastiche possono essere dovute a molteplici cause tra cui:

• Problematiche di tipo motivazionale: il bambino/ragazzo è poco interessato alla scuola.
• Problematiche di tipo emotivo: che rendono faticoso l'adattamento al contesto scolastico.
• Lievi ritardi nell'acquisizione di alcune abilità: che sono importanti per consolidare i primi apprendimenti.
• Metodo di studio non adeguato.
• Difficoltà di attenzione.


È importante che il minore venga supportato in queste difficoltà e che si attivi una diretta collaborazione tra scuola e famiglia al fine di favorire il suo benessere, evitando in futuro un possibile abbandono scolastico.

Problematiche adolescenziali

L’adolescenza è un processo che si sviluppa su un arco di vari anni. Rappresenta una fase particolarmente delicata dello sviluppo, dove le potenzialità e risorse del giovane convivono con un rischio di difficoltà individuali e relazionali. Si tratta di un periodo di cambiamento caratterizzato da modificazioni complesse che coinvolgono l’individuo su vari livelli: biologico, somatico, sessuale, psicologico, affettivo, emotivo, relazionale e sociale.


L’adolescenza si caratterizza come un periodo di transizione in cui l’individuo deve affrontare una serie infinita di compiti, avendo a disposizione risorse personali talvolta inadeguate e sempre meno riferimenti culturali e sociali.

Tra i compiti di sviluppo essenziali compaiono ad esempio, il distacco dal nucleo familiare per il raggiungimento dell’autonomia personale, l’accettazione della nuova struttura corporea, lo sviluppo di una propria identità, l’acquisizione di un sistema di valori e di un comportamento socialmente accettabile, l’intreccio di nuove relazioni significative e il raggiungimento di un’indipendenza emotiva e di un senso di responsabilità. Affrontare una così grande trasformazione può comportare una difficoltà emotiva.

I problemi adolescenziali possono manifestarsi: con disturbi esternalizzati, cioè agendo verso l’esterno le proprie conflittualità interne (comportamenti devianti, oppositivi ed aggressivi), o con disturbi internalizzanti, in cui la sofferenza rimane rivolta verso l’interno, nel vissuto dell’individuo comportando: depressione, ansia, disturbi del comportamento alimentare. Un percorso psicoterapico con l’adolescente, può essere utile in un’ampia gamma di situazioni, quali ad esempio:

• situazioni di isolamento sociale;
• scarsa autostima e insicurezza;
• senso di inadeguatezza nell’affrontare i compiti quotidiani;
• insoddisfazione del presente;
• incertezza sul futuro;
• elevati livelli di stress;
• sentimenti depressivi;
• difficoltà scolastiche;
• difficoltà di relazione con adulti;
• difficoltà di relazione nel gruppo dei pari;
• abuso di sostanze stupefacenti, alcolici;
• dipendenza dai social e videogiochi;
• difficoltà nella sfera affettiva e sessuale.

DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO

Che cos’è?
Il Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) è caratterizzato dalla presenza di rabbia persistente e inappropriata, irritabilità, sfida e vendetta verso sé e le figure di autorità. Emerge intorno al sesto anno di vita e potrebbe protrarsi ed aggravarsi fino all’adolescenza. Le ricerche mostrano come il Disturbo Oppositivo Provocatorio sia uno dei disturbi comportamentali più comuni nei bambini. Si attribuisce a questo disturbo una prevalenza che si aggira intorno al 5% della popolazione e spesso presenta una frequente comorbidità con il disturbo da deficit d’attenzione e iperattività (ADHD), disturbo d’ansia e disturbo depressivo.


Come si manifesta?
Innanzitutto va sottolineato che è normale che il proprio figlio mostri un comportamento oppositivo in determinate fasi del suo sviluppo, quindi in alcuni momenti può risultare difficile riconoscere la differenza tra un bambino volitivo ed emotivo e un bambino che presenta un DOP. I primi sintomi in genere iniziano durante l’età prescolare. Questi comportamenti causano una significativa compromissione della situazione familiare e delle attività sociali e scolastiche del bambino.
Questi bambini manifestano spesso:

• umore irritabile o collera;
• comportamenti polemici e provocatori con atteggiamenti di sfida, in particolare verso persone che rappresentano l'autorità (genitori, insegnanti);
• tendenza a non rispettare le regole;
• atteggiamento rancoroso e vendicativo;
• comportamenti di accusa verso gli altri per i propri comportamenti scorretti.


Questi comportamenti devono presentarsi frequentemente durante la quotidianità. Per i bambini di età inferiore ai 5 anni, il comportamento deve avvenire per più giorni e per un periodo di almeno sei mesi. Per i bambini di 5 anni o più il comportamento deve avvenire almeno una volta alla settimana per almeno sei mesi.

Le possibili cause del Disturbo oppositivo Provocatorio
Non esiste una sola causa, ma si parla di fattori di rischio e di protezione inerenti l’insorgenza del disturbo. Le cause possono riguardare una combinazione di fattori ereditari (familiarità al disturbo), ambientali (bambino inserito in un contesto trascurante nel quale possono essere frequenti modalità educative rigide, incoerenti o negligenti). Oltre a questi dobbiamo considerare il temperamento del bambino, che presenta difficoltà nella regolazione delle sue emozioni e nel tollerare la frustrazione; situazioni di instabilità familiare (genitore con un disturbo mentale o che fa uso di sostanze). Sono considerati invece fattori di protezione: una buona qualità dei legami affettivi con le figure di accudimento e uno stile educativo familiare coerente e autorevole.

Come si interviene?
L'intervento elettivo per il Disturbo Oppositivo Provocatorio è di tipo multimodale, ovvero un trattamento rivolto al minore, alla famiglia e alla scuola. Il tipo di trattamento differisce in base all’età del bambino. Per i bambini in età prescolare si basa principalmente su interventi di psico-educazione che coinvolgono soltanto i genitori. Per i bambini in età scolare invece, si prevede l’integrazione di un lavoro individuale con il bambino, supportato dai genitori (attraverso interventi di parent training) e dall’ambiente scolastico. La psicoterapia cognitivo-comportamentale si è dimostrata essere un valido trattamento, in quanto favorisce la presa di consapevolezza dei pensieri del bambino, utile nel fronteggiare situazioni frustranti o provocatorie. L’intervento nello specifico prevede: la gestione della rabbia e l’insegnamento di strategie di autocontrollo, per individuare insieme modalità alternative per fronteggiare le situazioni.

Come si previene? La prevenzione del DOP avviene tramite l'attivazione di interventi precoci di parent training (interventi di psicoeducazione rivolti ai genitori) attivati già in età pre-scolare e finalizzati alla gestione degli "iniziali" comportamenti-problema che il bambino presenta. Questi interventi possono consentire una riduzione della sintomatologia oppositiva e contrastare l'emergere di quadri clinici più gravi.

Qual è la prognosi? La prognosi del Disturbo Oppositivo Provocatorio è mediamente negativa, soprattutto se esso non viene trattato precocemente. Frequentemente tale disturbo può evolvere infatti in Disturbo della Condotta in tarda adolescenza o in Disturbo di Personalità Antisociale in età adulta.

ADHD Disturbo da deficit di attenzione iperattività.

Che cos’è?
Il disturbo da deficit dell’attenzione ed iperattività (definito anche DDAI in italiano o anche ADHD in inglese, da Attention Deficit Hyperactivity Disorder) rientra nella categoria dei disturbi del neurosviluppo ed è uno dei più comuni che si presentano in età evolutiva. Si stima che circa il 4% della popolazione pediatrica ne soffra. Ha il suo esordio nella prima infanzia ed è contraddistinto da due classi di sintomi: evidenti livelli di disattenzione e persistenti comportamenti che denotano iperattività ed impulsività. Questi deficit causano una compromissione nel funzionamento personale, sociale, scolastico.


Come si manifesta?
La disattenzione si manifesta con difficoltà a mantenere l’attenzione, seguire le istruzioni e concentrarsi. Il bambino si fa distrarre facilmente dai compagni e dai rumori. Inoltre fatica, a tenere in ordine i materiali e gestire il tempo a disposizione e tende ad interrompere le attività senza portarle a termine. Ha difficoltà a concentrarsi sui compiti e sulle attività scolastiche ed evita le attività che gli costano più sforzo cognitivo.

L’iperattività si riferisce invece a un’eccessiva attività motoria, un eccessivo dimenarsi e a una gran loquacità: questi comportamenti si manifestano spesso in situazioni non appropriate. Il bambino fatica a stare fermo sulla sedia, si alza dal proprio banco, è irrequieto e potrebbe incontrare dei problemi nel giocare tranquillamente.

L’ impulsività si manifesta con azioni che vengono compiute in maniera affrettata, senza intenzionalità. Talvolta l’impulsività risponde ad un desiderio di ottenere una ricompensa immediata, con la fatica nel ritardare una gratificazione. Tra i comportamenti impulsivi troviamo: le continue interruzioni durante le conversazioni (senza essere in grado di aspettare il proprio turno), fornire risposte ancora prima che le altre persone abbiano finito di parlare, prendere decisioni senza considerare le conseguenze delle proprie azioni o i segnali di pericolo.

Queste tre componenti possono presentarsi insieme, oppure la disattenzione può prevalere rispetto all’iperattività e all’impulsività e viceversa. Vi è una maggior evidenza con l’ingresso alla scuola primaria, in quanto l’ambiente scolastico essendo più strutturato, comporta per il bambino una fatica nell’autocontrollo e nella componente attentiva, con conseguenti fatiche ad applicarsi nelle materie e nei compiti.

Le possibili cause dell’ADHD C’è ancora poca chiarezza per quanto concerne le cause dello sviluppo dell’ADHD, sebbene appaia sempre più chiaramente come alla base vi siano una combinazione di diversi fattori specifici. Un aspetto che sembra importante è quello dei fattori genetici, in quanto si ipotizza una base ereditaria. La ricerca ha mostrato come il peso dei fattori genetici sullo sviluppo del disturbo, sia maggiore in presenza di sintomi più gravi. Nei bambini ADHD , si sono riscontrate caratteristiche neurobiologiche differenti quali: deficit nella capacità di inibizione (faticano a regolare il proprio comportamento, in modo da produrre una risposta adeguata rispetto all’obiettivo che ci si è posti), nella regolazione emotiva, nel mantenimento dei livelli di attenzione e nei processi di pianificazione ed esecuzione delle risposte motorie. Altri fattori collegati all’ADHD includono la nascita prematura, l’uso di alcool e tabacco da parte della madre, le lesioni cerebrali (corteccia pre-frontale).

Come si interviene? Per diagnosticare il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) è necessaria una valutazione specifica che comprenda: colloqui strutturati, la somministrazione di questionari e test a genitori ed insegnanti e la valutazione sul bambino. Successivamente viene individuato il percorso terapeutico più idoneo per supportare il minore e gli adulti di riferimento. Il trattamento è di tipo multimodale in grado di combinare interventi farmacologici (qualora ci sia la necessità), psico-educativi e psicoterapici. Per quanto concerne la parte psicologica, la terapia cognitivo comportamentale è il trattamento di maggiore efficacia, in quanto aiuta il bambino, i genitori e gli insegnanti a comprendere il problema e gestire i comportamenti presenti. Nello specifico, l’intervento psicologico comprende tre ambiti:

Intervento con il bambino
La terapia cognitivo-comportamentale con il bambino con ADHD si pone l’obiettivo di lavorare modo sinergico verso tutte le aree implicate nel disturbo. Al bambino vengono insegnate strategie che lo aiutino a pianificare i propri comportamenti nei diversi ambiti di vita e risolvere i problemi (Problem Solving). Si lavora anche sulle autoistruzioni verbali e sulle emozioni più critiche.

Intervento con i genitori
I programmi di intervento rivolti ai genitori (ADHD Parent Training) risultano fondamentali. Questi percorsi offrono degli strumenti importanti per una gestione efficace dei comportamenti problema dei propri figli. Uno degli obiettivi principali è quello di fornire strategie educative coerenti e stabili affinché i genitori possano adottare atteggiamenti costruttivi ed imparare a strutturare un ambiente che favorisca l’autoregolazione, la riflessività e l’autonomia del bambino.
Gli scopi dell’intervento con i genitori sono:
- informazione e approfondimento del disturbo;

- comprendere la relazione genitore-figlio;

- migliorare le interazioni positive;

- estendere le interazioni positive;

- accrescere le capacità di negoziare in presenza di conflitti e controversie;

- la promozione di regole educative,attraverso la contrattazione e il rinforzo;

- la promozione di un miglior clima emotivo in famiglia e di una più efficace comunicazione con il bambino, anche definendo meglio limiti e regole da seguire.

ADHD a scuola: intervento con gli insegnanti
Il percorso di formazione rivolto agli insegnanti (ADHD Teacher Training) ha lo scopo di fornire in un primo momento informazioni necessarie a raggiungere una piena conoscenza del deficit. L’obiettivo è di chiarire la natura del problema, affinché si eviti l’instaurarsi di false credenze o atteggiamenti disfunzionali e rinforzanti. In un secondo momento sarà fondamentale fornire agli insegnanti informazioni su una strutturazione dell’ambiente scolastico (tempi, spazi, compiti) che tenga in considerazione bisogni e caratteristiche del bambino iperattivo, in modo da potenziarne le capacità attentive e quelle relative agli apprendimenti. Vanno, inoltre, fornite agli insegnanti strategie sia per gestire e modificare i comportamenti disfunzionali, oltre che migliorare l’integrazione del bambino con i compagni di classe.

ANSIA E PAURE

Che cos’è?
Paure e stati di apprensione possono far parte del normale sviluppo emotivo del bambino e la loro presenza non è necessariamente segno di patologia. I bambini molto piccoli ad esempio, hanno paura di separarsi dalle madri e presentano una preoccupazione per gli estranei e per le persone nuove. Intorno ai 2/3 anni hanno paura del buio, dei mostri e dei fantasmi. Ma queste fanno parte del normale sviluppo del bambino, in quanto poi tendono a passare. Se l’ansia diventa eccessiva per frequenza, intensità e durata, si considera problematica.


L’ansia è una delle più comuni difficoltà, che viene riportata in ogni età e viene diagnosticata nel 10% dei bambini, mentre paure meno intense, ma pur sempre stressanti, risultano ancora più comuni.

È importante sottolineare come l’ansia, possa causare forti interferenze nella vita del bambino o ragazzo, portando ad un calo nelle prestazioni scolastiche, interferendo con le amicizie e influenzando l’intera famiglia. Inoltre in alcuni casi, l’ansia durante l’infanzia e adolescenza può essere l’inizio di una difficoltà simile in età adulta.

Ci sono diversi tipi di disturbi d’ansia con una sintomatologia differente, ma accomunati da peculiarità simili: una preoccupazione prolungata ed intensa sproporzionata rispetto alla situazione attuale e che influenza la vita quotidiana.

Sebbene i criteri diagnostici dei disturbi d’ansia siano i medesimi, sia in riferimento ai bambini e adolescenza sia in riferimento all’età adulta, di seguito descriviamo la sintomatologia dei disturbi d’ansia più frequenti nell’età evolutiva.

Quali sono i sintomi dei disturbi d’ansia.

Sindrome ansiosa da separazione: la caratteristica principale di questo disturbo è l’ansia eccessiva che il bambino manifesta quando si deve separare da qualcuno a cui è profondamente legato, di solito la madre. In genere tende spontaneamente ad attenuarsi dopo i 2 anni; scompare completamente prima dello sviluppo puberale. Dopo i sei anni di età, la persistenza di un’ansia da separazione intensa dalle figure significative è meritevole di un approfondimento Il bambino presenta una persistente paura di rimanere solo, così come una persistente riluttanza ad andare a scuola, in quanto ciò comporta la separazione dalla madre o dalle principali figure di riferimento. Quando il bambino è separato dai genitori o nell’imminenza di tale separazione, può manifestare sintomi fisici quali: mal di testa, vomito, mal di stomaco e dolori addominali. Lontano dai genitori il bambino presenta umore ansioso, tristezza, apatia e disinteresse, irrequietezza e forte malinconia e chiede costantemente di telefonare ai genitori e di essere riportato a casa.

Fobie specifiche: si parla di sindrome fobica dell’infanzia, quando i bambini/ragazzi presentano paure specifiche non necessariamente pericolose come: oggetti, animali o situazioni (altezze, cani..). Tale paura è anormale per il grado di gravità e può interferire con il normale funzionamento del bambino/ragazzo e con la vita dei familiari.

Mutismo selettivo: è poco conosciuto ed apparentemente raro. Colpisce prevalentemente i bambini; quest’ultimi iniziano a non comunicare in alcuni contesti sociali, nonostante lo sviluppo e la comprensione del linguaggio siano nella norma. Questa condizione interferisce con i risultati scolastici o con la comunicazione sociale.

Ansia Sociale: si tratta di un disturbo caratterizzato da eccessiva timidezza nei confronti di situazioni e persone nuove o poco familiari. La timidezza diventa così intensa da rendere impossibile per il bambino i normali rapporti interpersonali e porta ad evitare ogni contatto con persone con le quali non si ha confidenza. I bambini con questo tipo di disturbo interagiscono volentieri con persone che conoscono bene, come i membri della propria famiglia o qualche amico.

Ansia generalizzata: si tratta di uno stato di eccessiva ansia e preoccupazione immotivata e irrealistica. Diversamente da quanto accade nell’ansia sociale, questo stato emotivo non è collegabile a particolari stimoli ambientali, anche se alcune situazioni possono accentuare


Come si interviene?
Risulta importante riconoscere precoce un problema d’ansia per una corretta presa in carico del problema. I trattamenti cognitivo – comportamentali con bambini ansiosi/ragazzi, sono utilizzati da anni con successo. Nel nostro studio applichiamo il protocollo Cool Kids Program. Si tratta di un trattamento evidence based, la sua efficacia è basata su ricerche effettuate in un decennio alla Macquarie University, al Royal North Hosiptal e alla Queensland University, dal gruppo di R.Rapee. Il trattamento è mirato in un primo momento a modificare i pensieri e le credenze non funzionali, in un secondo momento l’obiettivo della terapia è accompagnare il bambino ad affrontare gradualmente ciò che lo preoccupa. I genitori vengono accompagnati nell’acquisire strategie per aiutare i propri figli nella gestione dell’ansia.